Pagina pubblicata in data
15 dicembre 2025
Aggiornata il 16 dicembre 2025
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La prima volta che ho varcato la soglia del Museo d’Arte Orientale di Venezia (MAOV) avevo circa dieci anni. Non so se siano state le armature dei samurai o le katane, ma è grazie alla visita di questo museo che è nata in me la passione per l’Oriente.
Da quella prima volta sono tornato molte volte a visitarlo, tanto che, in modo giocoso, affermo ormai di averne imparato a memoria la collezione. Anche se non è così, visto che la gran parte di essa non è esposta ma si trova nel deposito del museo.
Ogni volta che ritorno, l’appuntamento è in Sala IV. Qui sono conservate due statue lignee policrome del periodo Kamakura (1185-1333), raffiguranti due dei dodici generali celesti del Buddha della medicina.
Ho passato davvero molto tempo a osservare queste statue. Mi sono perso nell’espressione accigliata dei loro volti, nelle finiture delle armature e delle vesti, nella mimica dei loro corpi. Davanti ai miei occhi c’erano due oggetti in legno, scolpiti e rifiniti con grande maestria, che sembravano avere una loro vita, una storia secolare. Sono sempre rimasto colpito dalla perizia con cui furono realizzate: sette o otto secoli fa, come riuscirono quei maestri artigiani a infondere tanta minuzia? Quali pensieri, sogni, aspirazioni animavano chi le scolpì? Quante generazioni le hanno osservate?
Quali pensieri hanno espresso le persone che le hanno osservate nel corso dei secoli?
Ogni volta che le osservo mi trovo davanti alla finitezza della nostra esistenza. Ripenso a dipinti come quello conosciuto con il nome di 溪山行旅圖 xīshān xínglǚ tú (Viaggiatori fra monti e ruscelli). Dipinto realizzato dall’artista 範寬 fàn kuān (950-1032 circa), vissuto durante la dinastia 宋 sòng (960 – 1279), che esprimono la “piccolezza”, la finitezza dell’esistenza umana nei confronti dell’immensità dell’universo.
Quelle due statue continueranno a essere lì, nella loro teca, ma io e la mia generazione, un giorno, non ci saremo più. In futuro, forse, qualcuno osservandole si porrà le mie stesse domande, si chiederà cosa avranno mai pensato le generazioni precedenti. Chissà, se questo articolo sarà ancora in circolazione, forse, potrà essere una risposta a queste domande.
Nel corso degli anni, di visita in visita, ho nutrito la mia curiosità e la mia passione per l’Estremo Oriente. Inizialmente mi orientai verso il Giappone (quale adolescente può resistere al fascino dei samurai?). Crescendo, durante il periodo delle superiori, ho iniziato a guardare con sempre più interesse verso la cultura cinese. Anche se la collezione del MAOV è una fra le più grandi collezioni in Europa di arte giapponese del periodo Edo, non mancano oggetti di grande pregio provenienti dalla Cina.
Lo scorso marzo (2025) ho avuto modo di incontrare l’attuale direttrice del Museo di Arte Orientale di Venezia, la dottoressa Marta Boscolo, assieme alla dottoressa Elisa de Concini. È bastato parlarci pochi minuti per cogliere l’enorme passione che entrambe nutrono per la cultura orientale e per il loro lavoro.
Un lavoro che svolgono con precisione e professionalità e di cui sentono sulle spalle una "grande responsabilità" (come mi ha riferito la dottoressa Boscolo).
La collezione del Museo d’Arte Orientale di Venezia comprende gran parte delle opere acquistate da Enrico Carlo Luigi Giorgio di Borbone-Parma (chiamato più semplicemente Enrico di Borbone).
Principe di Parma e Piacenza e conte di Bardi, apparteneva alla casa dei Borbone-Parma. Nato il 12 febbraio 1851 a Parma, era figlio del duca Carlo III di Parma e di Luisa Maria di Borbone-Francia.
Appassionato viaggiatore, tra il 1887 e il 1889 visitò l’Estremo Oriente, in particolare Sumatra, Cina e Giappone. Durante questi viaggi raccolse una vasta collezione di oggetti d’arte, che costituirà la base del primo museo nazionale d’arte orientale in Italia, quello che oggi conosciamo come MAOV.
La collezione inizialmente fu allestita nel 1907, appena due anni dopo la morte di Enrico di Borbone, al secondo piano di Palazzo Vendramin Calergi (di proprietà della famiglia).
Dopo la Prima guerra mondiale la raccolta fu incamerata dallo Stato italiano e tra il 1925 e il 1928 Nino Barbantini allestì per conto dello Stato italiano il primo Museo d’Arte Orientale all’ultimo piano di Ca’ Pesaro, dove è tutt’ora custodita, palazzo che ospita anche la Galleria Internazionale d’Arte Moderna.
Il palazzo, edificato nella seconda metà del XVII secolo per volontà della nobile e ricchissima famiglia Pesaro, è uno dei grandi progetti dell’architetto Baldassarre Longhena, massimo esponente del barocco veneziano, a cui si devono anche la Chiesa della Salute e il palazzo Ca’ Rezzonico.
Il segno di Nino Barbantini sulla collezione è tutt’oggi visibile grazie all’allestimento delle due rampe di scale che accolgono il visitatore all’ingresso del museo.
Tra le due rampe di scale, nel pianerottolo, sono collocate sei armature di di grande impatto visivo risalenti al periodo Edo.
Il MAOV possiede ben cinquanta armature, la gran parte di queste è conservata nel deposito del museo.
Le armature, come molti pezzi della collezione, subiscono una notevole degradazione a causa dell’esposizione alla luce del sole. Per questo motivo all’interno del museo i pezzi esposti sono spesso coperti da pannelli per proteggerli dalla luce naturale e a rotazione sono fatti uscire dal deposito ed esposti.
Nonostante questa precauzione, molte delle armature della collezione hanno la necessità di essere restaurate. Non solo quest’ultime, ma molti pezzi della collezione hanno la necessità di essere restaurati e alcuni con una certa urgenza.
La dottoressa Boscolo è impegnata costantemente nel trovare fondi per restaurare i pezzi che preserva con amore e professionalità.
Durante il nostro incontro ci ha tenuto a ricodarmi e, quindi, a ricordare a tutti noi della possibilità da parte dei privati di sponsorizzazioni tecniche per i restauri o della possibilità di donazioni finalizzate al restauro delle opere.
La direzione del museo non è solo impegnata a preservare il patrimonio culturale costituito dalla collezione ma è anche estremamente attiva nel divulgarlo e portarlo a conoscenza della comunità, sia nel territorio della città metropolitana di Venezia che on-line.
Conduce un’intensa attività didattica con le scuole, in particolar modo con le scuole primarie. I progetti sono molteplici, come ad esempio presentare ai più piccoli come veniva realizzato un kimono e come poi veniva piegato.
Le attività didattiche non sono svolte solo presso la sede del museo, ma lo staff che collabora con la dottoressa Boscolo è costantemente impegnato a recarsi presso le sedi delle scuole della città metropolitana per avvcinare le generazioni più giovani all’attività svolta dal MAOV.
Non mancano le collaborazioni con le università e i convegni divulgativi. Come, ad esempio, quello nell’ambito del progetto "1338 Da Venezia a Delhi - L’Eurasia in una pergamena - Sei mercanti da Venezia a Delhi nel Trecento", svoltosi durante la scorsa primavera (2025) in cui il prof. Luca Molà e il dott. Marcello Bolognari hanno illustrato le loro ricerche a partire dall’analisi di una pergamena del 1350 conservata presso l’Archivio di Stato di Venezia. O la collaborazione con l’università Ca’ Foscari per una rassegna cinematografica dedicata all’Oriente.
Un altro servizio messo a disposizione dei cittadini è il lavoro di digitalizzazione dell’intera collezione che è tutt’ora in atto. Al momento in cui scrivo sul "Catalogo generale dei Beni Culturali taliani" sono stati inseriti ben 12227 oggetti (per visualizzarli clicca qui).
Il Museo d’Arte Orientale conserva una raccolta di ben 727 stampe sciolte e 276 libri, molti dei quali album di incisioni, per un totale di 12.200 immagini. Per motivi conservativi, le silografie sono esposte occasionalmente. Le opere conservate dal museo contano fra i maggiori maestri dell’ukiyoe: Hokusai, Kunisada e Eizan.
Il museo è un piccolo tesoro nascosto, che non tutti conoscono, nonostante sia nella città lagunare da più di un secolo. Un museo di cui non posso che consigliare vivamente di visitare.
Ricordo, infine, che chi come me è nato a Venezia può accedervi gratuitamente.
Il distico cinese (對聯 duìlián) è una coppia di frasi scritte verticalmente su due rotoli appesi affiancati, spesso posti ai lati di porte o ingressi. Sono generalmente composti da due versi paralleli, che si rispondono in modo simmetrico sia nel significato che nella struttura linguistica.
Sono usati come decorazione, soprattutto durante il Capodanno cinese (Festa di Primavera), quando vengono appesi alle porte per esprimere auguri di buona fortuna, prosperità e felicità per l’anno nuovo.
Il loro colore tipico è il rosso, simbolo di buon auspicio e protezione contro gli spiriti maligni.
La sala IX del museo ne presenta tre. Assieme a mio suocero 高保鋼 gāo bǎogāng, maestro calligrafo, ho avuto il piacere di tradurre questi distici per il museo (a titolo puramente gratuito e di diletto, mosso dal puro e semplice piacere nel contribuire, seppur in minima parte, alla preziosa attività di divulgazione cultirale del museo).
Il primo dei tre distici che qui propongo è quello che personalmente prediligo (riprodotto nell'immagine qui sopra). La prima parte del distico è visibile nella sala IX del MAOV, mentre la seconda parte del distico è conservata presso il deposito del museo di Museo della Natura e dell’Uomo di Padova, la cui sezione dedicata all’Oriente è composta in toto da oggetti della collezione del MAOV (speriamo presto le due parti possano essere riunite).
Ecco il distico:
常留茂林窗, 為仿義之雪
cháng liú mào lín chuāng wèi fǎng yìzhī xuě
Il distico è "giapponese", cioè è stato realizzato in Cina, ma esprime un concetto molto vicino alla cultura giapponese. Esprime, infatti, un concetto tipico degli aiku che non è così frequente trovare nella cultura cinese.
Gli aiku sono, infatti, brevi componimenti poetici tradizionali giapponesi. Sono noti per riuscire a evocare con pochissimi caratteri immagini e sentimenti profondi spesso legati alla natura e al mutare delle stagioni.
Iniziamo dalla traduzione dei singoli elementi della prima parte del distico.
常留 cháng liú: "restare sempre" o "rimane costantemente" nell’atto di compiere un’azione.
茂林窗 mào lín chuāng: esprime lo stare affacciati a una finestra su una foresta rigogliosa.
L’immagine espressa dalla prima parte del distico rappresenta la Natura attraverso l’immagine rigogliosa di una foresta. Un’immagine viva, fresca, piena di vita.
La foresta è anche il richiamo a un luogo "utopico" perfetto come lo è solo la Natura. Nella cultura occidentale questo concetto può essere espresso dalla parola "Arcadia". In questa visione si può ritrovare un riflesso della visione daoista della Natura come viene espressa nel testo del 道德經 dàodé jīng o nel testo del 內業 nèiyè.
La prima parte del distico, quindi, è un invito a rimanere costantemente affacciati "a una finestra" che guarda su una foresta rigogliosa. La finestra è una sorta di "scenario" di "quinta teatrale" su cui noi siamo invitati a rimanere perennemente focalizzati.
Ecco gli elementi della seconda parte del distico.
為仿 wèi fǎng: "per imitare" o "per emulare".
義之雪 yìzhī xuě: "la neve della giustizia/virtù".
In questa parte del distico c’è il riferimento alla purezza della neve che nella cultura tradizionale sia cinese che giapponese è simbolo di "giustizia e rettitudine".
Si tratta di una metafora abbastanza classica per indicare la purezza del cuore, la rettitudine morale di una persona e anche un senso di integrità. Del resto, è un concetto che usiamo tutt’oggi in lingua italiana quando usiamo la locuzione "candido/a come la neve".
Il distico nella sua interezza è, quindi, un’allegoria della purezza interiore, del cuore e della mente. Invita a rimanere perennemente a una finestra su una foresta simbolo di "freschezza", di "vitalità", che permette di assumere un atteggiamento "candido" come la neve. Indica un atteggiamento "mentale", cioè mantenere la propria mente sempre "fresca e vitale".
È un invito a mantenere una mente aperta "vuota", come nel concetto buddista della mente del novizio. Una mente fresca che permette di guardare al mondo attorno a noi con gli occhi di un "bambino" (candidi e puri).
Il distico esprime poeticamente l’idea di mantenere una purezza e una rettitudine costanti, come la neve immacolata, osservando e riflettendo a una finestra interiore l’essenza della Natura.
Qui di seguito il secondo distico:
芝蘭君子性,松柏古人心
zhīlán jūnzǐ xìng, sōngbǎi gǔrén xīn
La traduzione dei singoli elementi del distico è la seguente.
芝蘭 zhīlán: questa parola identifica gli iris e le orchidee assieme (non è, quindi, traducibile in italiano). Da un punto di vista figurativo è una parola che indica l’esaltazione delle "nobili virtù" di un uomo.
君子 jūn zǐ: la parola identifica un nobiluomo, un uomo di nobile carattere.
性 xìng: indica la natura, il carattere, la qualità (in questo contesto) di una persona.
松柏 sōngbǎi: è una parola che indicare i pini e i cipressi assieme (anche questa non traducibile in italiano). Da un punto di vista figurativo indica la qualità dell’uomo di essere casto e senza macchia.
古人 gǔrén: il termine indica gli "antichi", cioè le generazioni passate.
心 xīn: il cuore.
Nella prima parte del distico gli iris e le orchidee sono una metafora per descrivere la natura nobile del gentiluomo. Le orchidee crescono in luoghi appartati, con colori chiari e profumi che durano nel tempo.
Le orchidee simboleggiano le qualità della purezza, dell’eleganza, della semplicità, della virtù, della castità e dell’eleganza. Negli scritti di letterati e poeti le orchidee sono spesso utilizzate per simboleggiare la nobiltà e le qualità degli uomini nobili (intese come caratterstiche intrinseche dell'animo umano).
Questa metafora esprime il carattere del vero gentiluomo, che non si piega alle mode né cerca il favore altrui. Anche quando attraversa momenti difficili, mantiene saldi i propri valori morali, a differenza delle persone meschine, che di fronte alle avversità cedono ai compromessi e alla corruzione.
Il pino e il cipresso, invece, rappresentano la fermezza d’animo e la rettitudine delle persone di valore. Il pino e il cipresso sono simbolo dell’integrità morale di un gentiluomo. Confucio nei dialoghi scrive: "solo con il freddo dell’inverno si scopre che il pino e il cipresso sono gli ultimi a perdere le foglie" 岁寒,然后知松柏之后凋也。《论语•子罕》 suì hán, ránhòu zhī sōng bǎi hòu diāo yě.
Il poeta 韓愈 hán yù nella poesia intitolata 《條山蒼》 tiáo shān cāng scrive: "Le onde tumultuose scorrono via, ma il pino e il cipresso restano saldi sulle colline" 河流滄澐去,松柏在山岡 hé liú cāng yún qù, sōng bǎi zài shān’āng. Qui, il pino e il cipresso rappresentano il carattere indipendente, la determinazione e la nobiltà d’animo del gentiluomo.
In antichità, si paragonava spesso la resistenza del pino e del cipresso al gelo e alla neve con lo spessore dell’integrità morale del gentiluomo, capace di resistere alle prove più dure. Per questo nel distico si richiamano le "generazioni passate", le "persone atiche". Facendo riferimento a una "utopica" rettitudine morale del cuore di chi ci ha preceduto.
Un riferimento che è presente anche nella cultura italiana, ogni qual volta si guarda alle generazioni passate come depositarie di valori oggi perduti.
Il poeta 陳毅 chén yì scrive: "La neve abbonda sui pini verdi, ma essi restano dritti e fieri" 大雪壓青松,青松挺直 dà xuě yā qīng sōng, qīng sōng tǐng zhí. Questo verso simboleggia il coraggio e la determinazione del gentiluomo, la sua capacità di affrontare qualsiasi difficoltà senza mai piegarsi.
Il terzo e ultimo distico è fra i tre distici quello dal significato più nascosto e "articolato".
濠上魚文心坦白,塞中鵝注眼垂青
háo shàng yú wén xīn tǎnbái, sāi zhōng é zhù yǎn chuíqīng
Analizziamo le parole di cui è composto.
La parola 濠上 háo shàng indica un luogo, "sulla riva del fiume Hao", noto per il dialogo tra il filosofo 莊子 zhuāngzǐ e il logico 惠施 huì shī. Dialogo noto come "Dibattito sui pesci", 濠梁之辩 háo liáng zhī biàn.
濠上 háo shàng è diventato un simbolo della prospettiva daoista sul mondo. Citandolo ci si riferisce a un punto di vista distaccato e contemplativo sulla vita e la Natura. È spesso usato in testi filosofici per indicare una visione libera, intuitiva e spontanea della realtà. 濠 háo si riferisce anche al fossato che circonda la città e la parola Haoshang può anche essere intesa come sopra/oltre il fossato.
I termini successivi della prima parte del distico sono 魚 yú il pesce, 文 wén cultura, 心 xīn cuore e 坦白 tǎnbái che esprime sia il concetto di "onesto" che di "confessare".
Come i pesci nel fiume Hao nuotano liberamente, il cuore di una persona nobile è trasparente e onesto.
La seconda parte del distico, invece, è composta dai seguenti elementi.
塞中 sāizhōng che può indicare all’interno della fortezza, del confine o il confine. In questo caso il riferimento al fossato della città implica delle mura, quindi, l’interno della città.
鵝 é carattere cinese per indicare l’oca.
注眼 zhù yǎn indica l’atto di concentrare l’attenzione sull’occhio della persona con cui ci si sta relazionando.
La parola 垂青 chuíqīng esprime il concetto di mostrare apprezzamento per qualche cosa.
La seconda parte del distico a una traduzione superficiale può essere tradotto come in un luogo remoto e austero (come una fortezza di confine), uno sguardo attento e penetrante può comunque essere colmo di stima e rispetto.
Questo distico descrive uno stato di serenità interiore (simboleggiata dai pesci "felici") e un sentimento di profonda attenzione o affetto (rappresentato dalle oche con gli occhi che scrutano con attenzione).
Può essere usata per esprimere un senso di connessione emotiva profonda con la natura o con qualcuno, combinando elementi di libertà e nostalgia.
Il contesto a cui è associata questa frase è quello di un momento conviviale fra persone. Ad esempio, nel momento in cui si beve del vino in un clima di festa e fra gentiluomini si compiono dei brindisi. Gli sguardi di questi sono attenti e penetranti come quelli di un’oca mentre il loro cuore è trasparente e sincero.
Le oche hanno occhi grandi e "fissi" attraverso i quali si rivolgono stima e considerazione reciproca, senza superficialità né disprezzo.
Al contrario l’occhio umano è più piccolo e discreto quando osserva, alle volte è meno trasparente.
Il riferimento, quindi, all’occhio dell’oca che fissa intensamente allude al fatto che, nonostante un’osservazione diretta e attenta, il rispetto fra le persone non viene mai meno.
Questa frase sottolinea che, anche in un momento di convivialità e bevute, i veri gentiluomini mantengono sempre un rispetto reciproco.
Come spesso si dice, tradurre equivale a tradire. Tradire il significato e la profondita che certe parole esprimono in una lingua. Parole che sono il riflesso di una cultura e che sono legate a riferimenti culturali spesso non facili da cogliere e spiegare.
È facile comprendere come la traduzione in un’altra lingua, come in questo caso l’italiano, difatto rimanga "imprecisa" e per quanto si cerchi di rispettare il senso di ciò che le parole vogliono esprimere non riesce a renderlo appieno.
Fata questa premessa, qui di seguito riporto, più che una traduzione, una sorta di parafrasi dei tre distici.
Chiedo al lettore di prendere con le dovute "pinze" queste parafrasi e di "viverle" come un’indicazione di aiuto alla comprensione del significato dei tre distici.
Distico 1
"Rimani costantemente affacciato alla finestra sulla foresta rigogliosa, imitando il carattere della giustizia della neve."
Distico 2
"L’orchidea e l’iris che simboleggiano la natura nobile del gentiluomo, mentre il pino e il cipresso rappresentano la rettitudine e la fermezza d’animo delle persone virtuose dell’antichità."
Distico 3
"Un cuore onesto e limpido come l’acqua pura del fiume Hao lo è sempre, anche in un momento informale, così che lo sguardo attento del gentiluomo sarà sempre colmo di stima."
Non rimane ora che cogliere l’occasione di una visita nella città di Venezia per visitare il Museo di Arte Orientale e scoprire i tanti tesori che all’ultimo piano di Ca’ Pesaro custodisce.
Metti in pratica la vera conoscenza
實踐真知
shíjiàn zhēnzhī
Francesco Russo
NOTE SULLA TRASCRIZIONE FONETICA
Le parole in lingua cinese quando appaiono per la prima volta sono riportate in cinese tradizionale con la traslitterazione fonetica. A partire dalla seconda volta, la parola è riportata con il solo pinyin senza indicazioni degli accenti per favorire una maggiore fluidità della lettura dei testi.
BREVE PROFILO DELL'AUTORE
Francesco Russo, consulente di marketing, è specializzato in consulenze in materia di "economia della distrazione".
Nato e cresciuto a Venezia oggi vive in Riviera del Brenta. Ha praticato per molti anni kick boxing raggiungendo il grado di "cintura blu". Dopo delle brevi esperienze nel mondo del karate e del gong fu, ha iniziato a praticare Taiji Quan (太極拳tàijí quán).
Dopo alcuni anni di studio dello stile Yang (楊式yáng shì) ha scelto di studiare lo stile Chen (陳式chén shì).
Oggi studia, pratica e insegna il Taiji Quan stile Chen (陳式太極拳Chén shì tàijí quán), il Qi Gong (氣功Qì gōng) e il DaoYin (導引dǎoyǐn) nella propria scuola di arti marziali tradizionali cinesi Drago Azzurro.
Per comprendere meglio l'arte marziale del Taiji Quan (太極拳tàijí quán) si è dedicato allo studio della lingua cinese (mandarino tradizionale) e dell'arte della calligrafia.
Nel 2021 decide di dare vita alla rivista Spiralis Mirabilis, una rivista dedicata al Taiji Quan (太極拳tàijí quán), al Qi Gong (氣功Qì gōng) e alle arti marziali cinesi in generale, che fosse totalmente indipendente da qualsiasi scuola di arti marziali, con lo scopo di dare vita ad uno strumento di divulgazione della cultura delle arti marziali cinesi.
一口氣。一種武術。一個世界。
Yī kǒuqì. Yīzhǒng wǔshù. Yīgè shìjiè.
龍小五
Un solo respiro. Una sola arte marziale. Un solo mondo.
龍小五

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